Back to the past, ritorno alla fotografia analogica.

Da un po’ di tempo, complice la saturazione digitale di immagini che circolano sul web e che produciamo noi direttamente, ho deciso di ritornare a scattare a pellicola, nei mesi scorsi avevo rimesso apposto alcune mie macchine analogiche, la mia amata Yashica Mat 124G che era di mio nonno e che ho usato in gioventù, e una Contax ST che aveva qualche problema di blocco otturatore, nel frattempo affiancata da una Yashica FX3 super 2000 presa su ebay a meno di una pizza in pizzeria. 



Ho conservato il mio set di lenti messo insieme negli anni di giovinezza, sia per adattarlo al digitale che per non svendere cose che avevano improvvisamente avuto un crollo di valore nel mercato dell’usato.

Vabbè facendola breve ho ricominciato a pellicola, ma i tempi sono cambiati e bisogna fare alcune premesse. Mi interessa la foto da stampare, è quella la destinazione finale secondo me.
Detto questo partiamo dai colori, i negativi ormai vengono stampati previa scansione digitale, stessa cosa per i positivi (non ci sono più le cibachrome), quindi, a meno di non volersi accontentare della scansione dei trasparenti, l’unica scelta gestibile autonomamente per tutta la filiera è il bianconero.





Ora per uno come me, autodidatta figlio della curiosità per ciò che mi appassiona (come nella musica), la fotografia “chimica” praticata nel passato non ha potuto portare nel tempo una conoscenza se non empirica, quindi è come se sostanzialmente avessi dovuto ripartire da zero, il che è anche più stimolante secondo il mio punto di vista, carico di emozioni e sorprese impreviste. Studiare il digitale mi ha aiutato a comprendere meglio la pellicola, anche se di solito si dice il contrario, il feedback istantaneo e le possibilità di analisi del digitale sono un’ottima palestra secondo me, anche per chi veniva dalla fotografia “analogica”.





Compagna principale di questo nuovo viaggio è una macchina piuttosto particolare, una “mirrorless” di proporzioni particolari, potremmo definirla una “compattona”, una Fujifilm GA 645 Zi medio formato, 16 fotogrammi 6x4,5, automatica, dotata perfino di uno zoom (blando). 
Lente eccelsa anche se non luminosa, lascia molto spazio all’istantaneità del gesto, cosa per me importante, è molto compatta per il formato (120), basta abituarsi a quel tipo di approccio, magari ve la racconterò meglio in un post dedicato.



Inutile spiegare che i negativi Mf, anche nel loro formato più ridotto, il 6x4,5, sono davvero entusiasmanti, anche senza metterli accanto al formato 135, e risultano molto più semplici da stampare di quest’ultimo. Altra questione è il rapporto del formato, il 4:3 è quello delle carte per la stampa in camera oscura, quindi si sfruttano meglio, ma è anche il formato digitale che ho usato e continuo ad usare con le macchine del consorzio m43 (Lumix-Olympus).

Comunque un primo effetto positivo l’ho toccato con mano facendo una media degli ultimi due mesi, si pesano diversamente gli scatti, si sente il limite dei “colpi in canna” e si pensa, si razionalizza, si osserva e a volte si rinuncia allo scatto. Tutto questo si riversa anche nel mondo digitale, e i benefici nella densità della qualità dei risultati si percepisce in maniera sensibile.







Poi c’è il lato “zen” dei tempi analogici, sviluppando i negativi BN in autonomia è comunque un riscontro abbastanza rapido del materiale che si produce, la sera si dedica una mezz’oretta allo sviluppo e questo aumenta la consapevolezza nel rapporto causa-effetto delle decisioni prese e dei materiali utilizzati. 
Altro momento più intimo e di introspezione è la fase di stampa, ci si deve ritagliare parecchio spazio, sperimentare, lasciarsi ispirare ma allo stesso tempo avere sotto controllo gli aspetti tecnici per imparare dai propri sbagli. 
Insomma ci si sporca le mani, ma se ne esce con delle stampe fotografiche, si ferma il tempo finalmente su carta e argento, si offre un valore nuovo ai contenuti visuali raccolti e li si offre al tempo, indipendentemente dalla loro qualità di realizzazione.













to be continued...


© Renato Greco 2015 - All rights reserved

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